Omelia del 11 Marzo 2007
Festa del Sacerdozio
Le letture che abbiamo scelto oggi sono talmente ricche e fertili di riflessioni che sceglierne una piuttosto che un’altra significa quasi privarsi di qualcosa di bello e di grande. Non abbiamo dimenticato i destinatari delle due lettere di Paolo, o meglio dei brani delle sue Lettere, ma ci siamo rivolti a Paolo perché quello che lui ha scritto ci consente di fare l’identikit del sacerdote e perché i fedeli possano trovare nel sacerdote il modello per la propria vita spirituale. Nel primo brano tratto dalle Lettere, infatti, vi è scritto proprio questo, e ciò già vi fa capire che c’è più di una Lettera; il primo gruppo comprende le due Lettere a Timoteo mentre il secondo gruppo vede la Lettera ai Filippesi, la Lettera ai Colossesi e la Prima ai Tessalonicesi. Voi stessi dovreste conoscere questi brani, sia perché già letti in precedenti celebrazioni di anniversari, sia perché li abbiamo esaminati e ne sono scaturite approfondite riflessioni. Nessuno meglio di Paolo, l’uomo coraggioso e impavido che non si è fermato di fronte a persecuzioni, né a maldicenze, né a prigionie, a processi o a naufragi, può dire: “Dio ci ha dato non uno Spirito di timidezza”, poiché quello che l’apostolo scrive agli altri l’ha sperimentato largamente ed abbondantemente su se stesso e ha avuto l’audacia di affrontare le autorità religiose, sia ebraiche che cristiane. Paolo ha avuto il coraggio, è scritto negli Atti degli Apostoli, di affrontare, di resistere a viso aperto, anche a Pietro, quando si è contraddetto sulla questione del cibo che riguardava i pagani, comportandosi prima in un modo e poi in un altro. Quando un sacerdote esprime nella sua testimonianza sacerdotale tale sicurezza e tale mancanza di paura, vuol dire che costui è un vero apostolo e discepolo del Cristo. Il sacerdote è forte e infatti la maggior parte dei mali presenti oggi nella Chiesa potrebbero cessare se i sacerdoti avessero il coraggio di proclamare e difendere la verità; chi sostiene che la verità sta solo dalla parte dei superiori sbaglia, perché nostro Signore ha insegnato che la correzione fraterna deve essere esercitata in ogni direzione e presso qualsiasi persona. Questo è importante e deve essere messo in pratica e chi è forte, ma della fortezza che viene da Dio, è ugualmente una persona piena d’amore. Il rimprovero in se stesso non ha valore né significato se non è accompagnato dall’amore; l’amore deve sostenere tutto, deve alimentare tutto. Cristo ha insegnato ed ha praticato l’amore, Dio per definizione è amore, il sacerdote, e di riflesso anche il fedele, deve saper amare. Chi conserva nel proprio cuore sentimenti di avversione, di vendetta e di rivalsa non è vero discepolo del Cristo; amare, e noi l’abbiamo sperimentato, è molto più difficile che odiare. Odiare significa dare spazio e possibilità ai nostri bassi istinti e sentimenti. Amare, invece, è uno sforzo che bisogna fare per innalzarci talmente in alto, fino, possiamo dire, a toccare con le dita il mantello di Dio. Chi ama è prudente, Gesù stesso ci chiede di essere prudenti, astuti, addirittura, come serpenti, non per ingannare gli altri, ma per non essere ingannati. Il vero sacerdote non è uno sprovveduto, non è un ingenuo o un credulone, è uno che sa riconoscere dov’è la verità, che la sa difendere e la sa porgere ai propri fedeli perché chi vive nella verità desidera che anche gli altri siano ugualmente liberi e possano godere della stessa libertà e assennatezza. Non vergognarsi: tante volte ci siamo vergognati, in alcune occasioni, di fronte a situazioni in cui saremmo dovuti intervenire non siamo intervenuti o di fronte a persone che potevano intimorirci per l’importanza dell’ufficio che ricoprivano, abbiamo preferito tacere. Ricordate, miei cari, che il tacere per il quieto vivere produce soltanto confusione, equivoci e non risolve nulla. Nelle vostre famiglie non tacete se qualcosa non va, ma parlate, perché potete aiutare a cambiare colui che si manifesta debole e agisce male, impedendogli così, di sbagliare. Non vergogniamoci mai di dare la nostra piena adesione a Cristo. Nel mondo attuale, in cui vi è contrapposizione tra gli insegnamenti di Cristo e la vita sociale, la vita politica e anche quotidiana, il vero fedele che segue gli insegnamenti di Cristo si trova in una situazione difficile perché è molto più facile seguire il mondo che seguire Cristo, è molto più facile fare ciò che il mondo dice che fare ciò che Cristo ha insegnato. Ci sarebbero ancora altre considerazioni ma le lascio a voi.
Veniamo alla seconda Lettura tratta da brani diversi delle Lettere di Paolo. Il primo versetto ci può fare arrossire: credo che nessun sacerdote, né vescovo, né Papa abbia la semplicità di Paolo nel dire: “Seguite il mio esempio, come io seguo l’esempio di Cristo”. Se io ardissi dire ciò e se insieme a me e con me lo stesso facessero sacerdoti e vescovi, immediatamente verremmo lapidati, tutti direbbero: “E’ superbo, è orgoglioso, è presuntuoso”; mi chiedo perché Paolo lo abbia affermato senza arrossire e senza provare turbamento o vergogna. Paolo vedeva lontano e ha ragionato sul fatto che se i sacerdoti sono autentici discepoli del Cristo, allora ne sono l’immagine e i fedeli possono, dall’esempio dei loro sacerdoti, trarre la forza per cambiare. Io, non avendo il coraggio di Paolo, vi dico semplicemente di seguire il suo esempio perché in questo modo possiate seguire l’esempio di Cristo. “Siate imitatori”, c’è un capolavoro di fronte a noi, c’è la possibilità di rassomigliare al capolavoro di Dio, Egli ha fatto tanti capolavori. Perché un capolavoro sia riconosciuto tale ci vuole un esperto che possa dire se i canoni della bellezza, dell’estetica siano rispettati, c’è un mondo interiore che si manifesta e, di conseguenza, si tratta di un capolavoro. A volte non riusciamo a capire se ci troviamo al cospetto di un’opera d’arte perché non siamo suffragati, sostenuti da una adeguata conoscenza; allora siamo costretti ad affidarci ai consigli di un critico, ma nella vita spirituale ciascuno può arrivare a capire quando si imbatte in un capolavoro di Dio. Sia che si tratti di un uomo, una donna, un bambino, un giovane, un adulto, un anziano, insomma, qualunque essere umano pieno dell’amore di Dio è un vero capolavoro che deve costituire per noi una spinta ad imitarlo. Ecco perché l’insistenza di Paolo: “essere imitatori, siate imitatori”, parole che vorrei entrassero nel vostro cuore. Tutte le comunità, compresa questa, devono comportarsi ed essere come quelle pecore di cui Gesù parla nel brano del Vangelo. Ho già accennato diverse volte alla realtà meravigliosa del gregge custodito, allevato e difeso da Gesù buon pastore che afferma: “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono Me”. Questa non è una conoscenza visiva, non è una conoscenza che si sperimenta in un incontro occasionale, ma la conoscenza di cui parla Cristo parte dal Suo cuore e arriva al cuore dell’uomo e quando questo cuore viene riscaldato dall’amore di Cristo, viene restituito a Cristo e allargato ai propri fratelli. Quando le pecore sono tranquille, sono felici, sono alimentate e sazie, sono in pace fra di loro; allora non litigano per un ciuffo di erba che può essere desiderata e quindi rubata agli altri, c’è condivisione di tutto, la condivisione della gioia, della sofferenza e della preghiera. Il discorso del gregge è un discorso che deve dare serenità e tranquillità, non significa escludere ciò che proviene dall’esterno, ma rappresenta la possibilità di essere difesi da quanto di negativo, di cattivo avviene fuori. Notate anche però lo sguardo del Cristo che si allunga ed è triste, perché vorrebbe portare altre pecore lì, perché sa bene che se vivono al di fuori dell’ovile diventano prede facili di lupi feroci che le sbranano e le uccidono. Cristo è capace di amarci fino al punto di prenderci sulle spalle e c’è spazio per tutti sulle spalle del Signore, lasciamoci prendere dal suo amore. Desidero chiedervi oggi di pregare in modo particolare per il mio sacerdozio che prosegue la sua strada verso realtà sempre più impegnative, ma vorrei anche, come ho chiesto ieri, che preghiate per tutti i sacerdoti ordinati insieme a me, perché possano, veramente, essere imitatori di Cristo affinché siano pastori sereni e autentici. Che la Madre dell’Eucaristia allarghi il suo manto sopra ciascuno di noi, fino ad arrivare a voi, a questa comunità che so quanto sia sensibile alle problematiche della Chiesa e dei sacerdoti. Continuate incessantemente a pregare, offrite le vostre preghiere, i vostri digiuni, i vostri fioretti perché possiamo presto vedere una Chiesa rinata dall’amore e con l’amore di Dio. Sia lodato Gesù Cristo.