Omelia del 17 Febbraio 2008
I lettura: Gen 12,1-4; Salmo 32; II lettura: 2 Tm 1,8-10; Vangelo: Mt 17,1-9.
Oggi, seconda domenica di quaresima, è la domenica della chiamata. Quando parliamo di chiamata dobbiamo dare a questa parola significati diversi. Essa è sempre un’iniziativa di Dio e allora la chiamata alla salvezza è il primo significato da dare a questo termine. Non mi soffermo ancora su questo argomento, in quanto ne sto parlando da diversi venerdì durante la meditazione e la spiegazione della Lettera di San Paolo ai Romani: Dio chiama tutti. Per voi questo ormai è chiaro, perché è stato detto da San Paolo in tutti i modi ed è stato ripetuto da me in tutte le diverse sfumature.
Passiamo ad un altro significato del termine chiamata: quella alla santità. Anche questo significato è una verità chiara che è scritta nel Vangelo: “Siate tutti perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,48). Per farci comprendere la modalità per arrivare ad una santità comunitaria, Gesù ha presentato e spiegato la bellissima e comprensibile parabola della vite e dei tralci. Finché siamo uniti a Cristo in noi c’è la grazia e, quindi, la santità. Nel momento in cui noi ci distacchiamo da Cristo con il peccato, non c’è più in noi la grazia, non c’è più santità. È un concetto chiaro e semplice sul quale ci siamo fermati diverse volte.
Ora parliamo del terzo concetto di chiamata: quella al sacerdozio e alla vita consacrata. Anche di questo tema ne abbiamo ampiamente parlato, soprattutto quando abbiamo analizzato l’incontro tra Gesù e il giovane ricco. Gesù, incontrando questo giovane, lo guardò, lo amò e lo chiamò a seguirlo. Il giovane, poiché era ricco, non lo fece. Uno sguardo, un atto d’amore da parte di Dio e le parole che Gesù ha detto a Pietro: “Ti farò pescatore di uomini” (Lc 5,10), questa è la chiamata al sacerdozio che, rispetto alle altre, vede, fra i chiamati, un numero di persone minore.
C’è anche un quarto tipo di chiamata che vede le creature coinvolte in numero ulteriormente più piccolo e consiste in una missione particolare che Dio affida solo ad alcuni per il bene di tutta la Chiesa. Costoro sono i profeti. Ci sono stati nel passato, ci sono nel presente e non è da escludere, noi non lo possiamo dire in modo irrevocabile perché tutto dipende da Dio, che potranno esserci anche in futuro. Sono persone chiamate da Dio a svolgere un compito particolare. Un esempio di profeta è Santa Margherita Maria La Coque che, dal silenzio di un monastero di clausura, ha diffuso in tutta la Chiesa la devozione al Sacro Cuore e la pratica dei primi nove venerdì del mese. Altri profeti sono i piccoli pastorelli di Fatima e non mi riferisco tanto a Lucia, che è morta quasi centenaria, ma a Giacinta e a Francesco che, pur essendo molto giovani, hanno diffuso nel mondo la devozione ai primi cinque sabato del mese. Vorrei anche parlare dell’amore misericordioso di un’umile suora malata, suor Faustina Kowalska a cui, durante la vita, sono stati affidati compiti umili e modesti. Suor Faustina è un altro profeta scelto da Dio per portare nella Chiesa l’amore e, soprattutto, il concetto dell’amore misericordioso.
Quindi, nella Chiesa, ci sono stati profeti nel passato e ce ne sono nel presente e tutti hanno in comune quei tratti che oggi la Sacra Scrittura ci ha chiaramente messo davanti agli occhi.
Abramo è, secondo la mia modesta opinione, il rappresentante della quarta chiamata e cioè dei profeti. Prima di tutto Dio li distacca dalla situazione, dalla condizione e dall’ambiente in cui vivono perché, per usare un’immagine chiara, vuole che brucino i ponti alle loro spalle. È un concetto, un’immagine che vuole significare il fatto che, secondo i disegni di Dio, i profeti devono andare comunque avanti, compiere la loro missione e che, per loro, non c’è possibilità di tornare indietro. Ciò a volte è stato realizzato, in altre occasioni no a causa della caducità e della debolezza umana. Dio, quando dà una missione, non la ritira e, se questa non va avanti e non viene portata a termine è perché l’uomo non risponde. Abramo riceve l’invito di staccarsi dall’ambiente in cui vive, ma questo distacco è ricompensato da Dio con qualcosa di grande. Infatti il Signore lo fa diventare, in età avanzata, capostipite di un popolo tanto numeroso, se non superiore al numero delle stelle che sono in cielo, tramite sua moglie, anch’essa ormai in età avanzata. Quando Dio chiama, riserva esclusivamente a Sé, al suo servizio, la persona che chiama e nessuno può arrogare a se stesso o rivendicare a se stesso la dignità, l’ufficio, il compito di profeta, se non è stato veramente chiamato da Dio. Gesù, nel Vangelo, mette in guardia i cristiani dicendogli “Guardatevi dai falsi profeti” (Mt 7,15). Qui c’è un chiaro ammonimento, ma purtroppo, nel mondo e nella Chiesa, ci sono stati tanti falsi profeti che hanno seminato confusione, che hanno provocato divisione e che hanno avuto anche seguito e riconoscimento. Ma Dio non era assolutamente con loro. Al vero profeta spesso, se non sempre, è riservata una vita difficile e complicata perché spesso è perseguitato. Il vero profeta è colui che assomiglia al profeta per eccellenza, il Cristo; è colui che compie la volontà di Dio; e chi, meglio del Cristo, ha compiuto la volontà del Padre, che consisteva nella salvezza degli uomini. Ecco, il Cristo è profeta e gli altri profeti, inferiori per dignità, per ufficio e per grandezza lo debbono imitare nella vita, nell’impegno e spesso nella sofferenza che può arrivare sino al martirio. Sono questi i veri profeti fra cui c’è Paolo, il grande Paolo, che anche oggi è stato citato dalla Madonna. E ciò vi fa comprendere la predilezione, da parte della Madonna, nei riguardi di questo apostolo che, certamente, ha incontrato durante la vita. Paolo non ne parla espressamente, così come non ne parlano le sacre scritture, ma voi pensate che Paolo, l’apostolo della passione, dell’entusiasmo, dell’amore, della fede e della speranza, non sia andato dalla Madonna? Certamente l’ha incontrata ed ha ascoltato ciò che il cuore di questa Madre metteva a sua disposizione e, a sua volta, l’ha insegnato a coloro che erano chiamati a compiere e a continuare la sua missione di profeta. Come emerge chiaramente dal brano preso dalla seconda lettera a Timoteo, citato non a caso, ma miratamente e lucidamente dalla Madonna, Paolo dice: “Insieme con me prendi anche tu la tua parte di sofferenze” (2Tm 2,3). Ecco, ritorna ad essere menzionato il verbo che a noi fa paura, che a me fa paura e che a qualsiasi persona fa paura. Soffri per il Vangelo, soffri per far rispettare la Parola di Dio e oggi, non so se vi siete resi conto, anche voi siete stati chiamati a condividere la missione del profeta, quando la Madonna ha detto “Fate un po’ di apostolato, fate capire che cosa è il S. Vangelo”. Oggi, anche voi avete ricevuto il mandato di svolgere la vostra missione profetica che, di per sé, è presente in ogni battezzato ma che, comunque, oggi è stato esternato a voi. Infatti, siete stati chiamati da Dio a dare questa testimonianza, non facile, non semplice che farà soffrire, ma svolgetela, non con la presunzione di coloro che suonano i campanelli e pretendono di imporsi, ma presentando la bellezza del Vangelo con semplicità e con umiltà, facendo comprendere che, avendo trasformato la vostra vita, è possibile che sia trasformata anche la vita degli altri. Vivete il compito della testimonianza con umiltà, come ha detto Paolo a Timoteo, il quale non è stato chiamato in base alle opere, ma solo perché Dio ha voluto questo. Nessuno di noi può dirsi all’altezza della missione, avanzare dei diritti o dei meriti per cui può dire a Cristo eccomi, chiamami, perché io sono nella condizione migliore dei miei fratelli. Noi sappiamo, e la storia lo insegna, che i veri profeti hanno tutti in comune fragilità, debolezza, sofferenza, poco seguito e, addirittura, poca credibilità perché, se è difficile accettare la parola di Dio nel Vangelo, è molto più difficile accettare, perché scattano invidia, gelosia, incomprensioni, coloro che l’annunciano. Voi profeti, chiamati da Dio, che cosa vi aspettate? Potete trovare la risposta nel Vangelo. Nella Sacra scrittura si parla della trasfigurazione di Gesù, ma è anche presente la nostra. Voi recitate il rosario, i misteri che sono stati approvati dalla Madre dell’Eucaristia e, quando arrivate al quarto mistero glorioso, leggete: “La Madonna è morta ed è stata subito trasfigurata” e parliamo di una creatura umana. La trasfigurazione della Madonna consiste nel fatto che, il suo corpo, come lei stessa ci ha detto, ha conosciuto la morte ma non la corruzione. La Madonna è stata assunta in cielo e il suo corpo è diventato bello, meraviglioso, più splendente del sole, perché la presenza della grazia immensa si è riversata su tutto il suo corpo. Il corpo di Maria era già molto bello, ma lo è diventato ancora di più. Non esiste nella lingua italiana un termine adatto a rappresentare la grandezza e la bellezza di Maria, anche per Dio c’è la possibilità di aggiungere un grado al superlativo assoluto bellissimo: grammaticalmente è un errore, ma il corpo di Maria è molto, molto, molto, molto bellissimo. Ecco, credo di avervi fatto capire il concetto che voglio sottintendere. Questo concetto non riguarda solo la Madonna ma anche noi, perché noi verremo trasfigurati e avremo un corpo, ma molto più bello di quello che abbiamo avuto durante la nostra vita terrena. La garanzia di quanto vi sto dicendo, cioè che il corpo non avrà più corruzione, ce la dà Dio stesso. Vi siete mai chiesti il motivo per cui Dio permette che i corpi di alcune persone non vadano soggetti a corruzione e, riesumati dopo decenni, si presentino ancora perfettamente conservati? Non è per un motivo di devozione, come è stato detto, non è per un’ostentazione di santità. C’è molto di più e molto di meglio. In questo modo Dio ci ricorda e ci vuol dire: “Come io mantengo questo corpo intatto, così porterò questo corpo, insieme ai vostri corpi, ad una bellezza, ad una trasfigurazione meravigliosa”. Avete compreso adesso qual è il vero motivo per cui, entrando nelle Chiese, voi potete vedere il corpo di un santo o di una santa perfettamente conservati. Non è in funzione del presente, ma del futuro. A noi non interessa essere collocati sotto degli altari ed esposti alla visione, a volte curiosa, dei fedeli e dei devoti, a noi interessa che il nostro corpo, dopo che avrà subìto anche la corruzione, sia trasformato nella resurrezione e raggiunga quella bellezza per cui Dio stesso, guardandoci, può compiacersi e dire: “Ho fatto una cosa bella”, come disse nel momento della creazione, dopo aver creato il mondo e ciò che esso contiene. Ecco, questa è la realtà, questa è la riflessione che oggi il Signore affida a voi. Ci affida questa visione del futuro, di cui faremo parte, certamente, ma nel modo più bello, nel modo migliore e più gioioso. Coraggio, ora gemiamo, forse anche troppo, ora soffriamo, forse anche troppo, ora attendiamo, forse da troppo tempo; che Dio si decida a fare ciò che ha promesso, ma quando la stanchezza, l’amarezza e la delusione ci assalgono e ciò può accadere frequentemente e quotidianamente, allora ricordiamo che la realtà sarà quella che avete appreso oggi. Pensiamo e ricordiamoci che questa realtà sarà così solo per la potenza, l’intervento, l’amore e la grazia di Dio. Sia lodato Gesù Cristo.