Omelia del 29 Giugno 2008
I lettura: At 12, 1-11; Salmo 33; II lettura: I Tim 3,1-6; At 20,18-20;23-24;28;33; Vangelo: Mt 16, 13-19
Oggi in questo luogo, che per potenza di Dio si estende fino a diventare smisurato e immenso, si sono incontrate le tre chiese: la Chiesa trionfante, la Chiesa militante e la Chiesa purgante. Quando Gesù, nella lettera di Dio, ha detto che tutto il Paradiso si era riversato qui, si riferiva alla Chiesa trionfante. La Chiesa militante siamo noi, il primo nucleo, le prime cellule della nuova Chiesa, che nascerà rinnovata dal sangue del Cristo, dalla Sua potenza redentrice e dal Suo amore sofferto in croce. La Chiesa purgante sono i nostri fratelli ancora privi del dono della visione beatifica e che attendono la loro purificazione. Noi ci auguriamo che il tempo di purificazione sia breve e questo augurio sarà suffragato durante la celebrazione della Santa Messa. In particolare, mi riferisco a coloro che sono legati a noi da vincoli di sangue, di parentela, di amicizia o che hanno fatto parte della nostra comunità, che ormai ha messo radici in ognuno dei cinque continenti.
Noi siamo la Chiesa militante, siamo le avvisaglie della nuova Chiesa. Avendo seguito ultimamente le mie catechesi e le letture di oggi, avrete notato che c’è un percorso che delinea sempre meglio, e non può essere diversamente, la figura del Vescovo. Oggi celebriamo una delle opere più grandi di Dio: non festeggiamo la persona, ma l’opera del Signore perché tutto ciò che è compiuto da Dio è un dono immenso, a volte anche incomprensibile, che Egli fa all’umanità intera. Questa ordinazione episcopale, purtroppo, ancora oggi non è accettata, soprattutto dai vertici della Chiesa; essa non è un dono fatto soltanto alla singola persona, perché non avrebbe significato, ma è per tutta la Chiesa. È come se Dio dicesse: “Io sono il Capo della Chiesa, intervengo come e quando voglio e indirizzo il corso della Storia della Chiesa verso i traguardi e gli obiettivi che Io stesso sto stabilendo e fissando”. Uno dei tanti obiettivi, e la celebrazione di oggi ce ne dà pienamente diritto, è la figura del Vescovo. In uno degli ultimi incontri biblici, per farvi capire ciò che un Vescovo non dovrebbe essere, vi ho letto, cosa che io raramente faccio, una riflessione del Cardinal Martini riguardo ai difetti presenti nel clero.
Le letture di oggi tratteggiano quali sono le condizioni, le qualità di coloro che aspirano all’episcopato. La seconda lettura è composta dalla Prima lettera di San Paolo a Timoteo e dagli Atti degli Apostoli, ma è sempre S. Paolo che parla.
“È degno di fede quanto vi dico: se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro. Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Inoltre, non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna del diavolo. (…)
Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia e per tutto questo tempo: ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei. Sapete come non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle vostre case. So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio.
Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue.
Non ho desiderato né argento, né oro, né lea veste di nessuno.”
La frase iniziale probabilmente vi può mettere in trepidazione: “È degno di fede quanto vi dico: se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro.” Cosa vuol dire questo versetto? Fate attenzione: Paolo è figlio del suo tempo e in quel periodo diventare vescovo era vissuto più come un peso che come un onore. Infatti, si cercavano maggiormente altri doni e carismi soprannaturali, come per esempio il dono della profezia, che era considerato superiore all’episcopato stesso, proprio per le responsabilità che questo ufficio esigeva nell’espletamento delle sue funzioni. Quindi è bene desiderare l’episcopato se ci sono le condizioni di cui egli fa un lungo elenco: “Il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro”. Quindi se il candidato non ha queste qualità, non deve essere ordinato vescovo. Esiste un’istituzione ecclesiastica che è preposta alle nomine episcopali, ma purtroppo non tiene presenti le indicazioni di S. Paolo contenute in questo brano della scrittura, perché se fossero tenute presenti oggi non avremmo tante nomine episcopali che lasciano molto a desiderare. È assurdo: noi che difendiamo e ci riferiamo continuamente alla Parola di Dio siamo criticati e condannati.
Il vescovo non deve essere assolutamente incline alla ricchezza, né alla ricerca del potere ma deve vivere il proprio ruolo come servizio, questo insegna Paolo e invece oggi è vero esattamente il contrario. E allora nella nuova Chiesa l’identikit del vescovo deve essere proprio il seguente: povero, distaccato dai beni materiali e che viva il proprio ruolo come servizio; ricordate sempre quello che ha detto la Madonna: “stiamo preparando dei bravi vescovi”. È inutile avere fra i vari titoli quello di “servo dei servi di Dio” se non lo si vive fino in fondo. Gesù ha insegnato proprio questo nell’ultima cena durante la lavanda dei piedi: “Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti, vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io” (Gv 13-15), cioè mettetevi al servizio dei vostri fratelli. Il vescovo deve essere povero, servo, disponibile, pronto, generoso, leale, puro; la castità è un valore che Dio Padre ha ribadito pochi giorni fa durante un colloquio con Marisa e con me. I sacerdoti devono essere celibi, lasciamo parlare tutte quelle civette che invocano il diritto alla libertà, alla modernità. Il sacerdote deve rassomigliare a Cristo, con la sua vita deve ricordare che la condizione finale dell’uomo in Paradiso sarà quella di puro spirito e quindi non ci sarà bisogno di matrimonio. Tutte queste qualità che oggi avete ascoltato ancora una volta, sono legate indissolubilmente all’amore e alla carità. Senza la carità sono nulla. S. Paolo ci ha insegnato anche tale concetto: con la carità si offre a Dio il meglio di se stessi. “ Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla ” (1Cor 13,1-2). Potrò essere sapiente, un ottimo programmatore, un poliglotta, un teologo, un filosofo ma se non ho la carità, se non amo, sono niente. Nella nuova Chiesa i canditati alla nomina episcopale dovranno possedere tali caratteristiche, se non le hanno, non ci sarà niente da fare anche se fossero raccomandati. Ricordate le parole pronunciate dal Cardinal Martini, che non è l’ultimo sprovveduto della Chiesa? Oggi le nomine episcopali vanno avanti per raccomandazione. Dobbiamo guardare ai modelli e Paolo è uno di essi! Egli si è sacrificato per i suoi fedeli perché aveva a cuore la loro salute spirituale e tremava quando nelle comunità si infiltravano dottrine velenose, contrarie a quelle da lui insegnate. Anche il gemello di Paolo, Pietro, è un modello da seguire. Purtroppo, Egli viene citato più frequentemente come il lato debole piuttosto che quello forte. Oggi vorrei rivalutare la figura di Pietro che riceve da Gesù un elogio meraviglioso, perché egli, illuminato da Dio Padre, ha riconosciuto la figura e la missione del Cristo, “Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Questo significa avere fede; un sacerdote, un vescovo, non può non aver fede.
Nella lettera di Dio di oggi, Gesù ha detto: “Voi avete saputo da un messaggio della mia Mamma che ad un alto prelato ha sanguinato l’Eucaristia mentre celebrava la S. Messa, ma lui l’ha tolta di mezzo e ha messo al suo posto un’altra ostia bianca. Perché hanno tanta paura del mio sangue?”. Noi sappiamo nome e cognome di questo ecclesiastico. Durante la celebrazione della Santa Messa egli ha avuto una spinta alla conversione, un miracolo eucaristico tra le sue mani, eppure, invece di essere riconoscente a Dio, ha buttato l’ostia da una parte, profanando l’Eucaristia. È fede questa? Se non abbiamo fede, e Pietro ce ne ricorda l’importanza, non possiamo svolgere il nostro ruolo perché noi da soli non arriviamo da nessuna parte; solo con l’aiuto e la grazia di Dio arriviamo ovunque. Questo è l’insegnamento di Cristo: “In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre”. (Gv 14,12)
Guardate qui, davanti all’altare, dove è rappresentato ciò che ho appena detto. (Ai piedi dell’altare c’è un addobbo dove è rappresentata l’Eucaristia e tre zucchetti NdR) Fate una bella foto poiché in questa immagine vi è tutto. È facile identificare i tre zucchetti: Pietro quello bianco, Paolo quello d’oro e, modestamente, il sottoscritto quello viola. C’è anche il trionfo dell’Eucaristia, che dona vitalità e linfa, cielo, terra e mare e la grazia abbondante. Ciò mi ricorda le parole di Sant’Agostino: “Dove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia”. Guardate i fiumi di grazia che escono fuori da questa anfora, si tratta della redenzione che ha cambiato la Storia dell’uomo, per cui noi non siamo più assolutamente come prima. La spada è la Parola di Dio che penetra in profondità e resta conficcata dentro di noi. Tutto questo ci deve spingere veramente a pregare per la Chiesa.
Ci rivedremo a settembre, ci sarete tutti e lo sapete, perché non morirete; finché non ci sarà il trionfo nessuno della comunità morirà. Pregate per la Chiesa, è l’unica intenzione che vi lascio e vi affido per questi due mesi. Preghiamo per la Chiesa, dobbiamo dare il meglio di noi stessi, perché Dio con la sua forza, sollecitato dalle nostre povere preghiere, faccia quanto prima ciò che noi aspettiamo. L’appuntamento è il 6 settembre nel luogo taumaturgico alla fonte San Lorenzo. Ritorniamo alle origini dopo tre anni. Da lì, vicino a quella fonte, trentasette anni fa, è iniziata la nostra storia e chissà che possa essere conclusa e che ci sia un finale che abbia un collegamento con l’inizio. Inizio e fine sempre nel nome della Madre dell’Eucaristia, nel nome dell’Eucaristia.